• Via dei Villini 9 – Roma
    Via dei Villini trae il suo nome dall'edificazione dei primi villini a seguito della lottizzazione del parco di Villa Patrizi, avvenuta nel 1888 nella zona del Nomentano. Questi edifici furono costruiti nel primo decennio del Novecento e la villa al n.9 ha il tipico stile eclettico del periodo. È composta di trentasette vani distribuiti tra piano scantinato, rialzato, primo e secondo piano. Scampata per un soffio ai bombardamenti che il 19 marzo 1944 incendiarono la vicina legazione d’Ungheria, nel 1959 la villa fu acquistata dal proprietario di cinema Giovanni Amati, che vi abitò con la famiglia. Nel 1980 Amati mise in vendita la villa ed era in trattativa con il Governo Thailandese quando, la sera del 30 giugno di quell'anno, perse la vita investito da un auto mentre attraversava Via Nomentana, a poche decine di metri da casa. Due giorni prima del tragico incidente, in Via dei Villini si era tenuta l’asta degli arredi e degli oggetti preziosi di Villa Amati. Nel 1986 l'edificio fu venduto dagli eredi di Amati alla Repubblica Democratica Somala e la legazione vi si trasferì da Viale Tripoli, dove si trovava fino ad allora.
    Le ultime funzioni diplomatiche svolte dall'Ambasciata datano al gennaio 1991. In seguito l'edificio divenne dimora di alcuni diplomatici e dipendenti della legazione, lasciando alcune funzioni consolari, come le attestazioni e i rinnovi dei passaporti al Consolato di Via dei Gracchi 305. Nel 1998 il Governo Italiano decise di non riconoscere più la rappresentatività dell’Ambasciata, ma una volta accertato il disagio provocato da questa decisione alla comunità somala presente in Italia, accreditò nuovamente l'Ambasciatore Yusuf Ali Osman e tre altri diplomatici. L’edificio di Via dei Villini ha patito un progressivo deterioramento, dovuto alla difficoltà di provvedere alla sua manutenzione, con le utenze di acqua, luce e gas ben presto tagliate per insolvenza. Con il tempo, agli ex dipendenti dell'Ambasciata si sono aggiunti cittadini somali senz’altra dimora, spesso richiedenti asilo politico, ospitati al suo interno e nel piccolo giardino che la circonda. Nel marzo del 2011, in seguito alla denuncia di uno stupro di gruppo, l'edificio è stato sgomberato, e i suoi accessi sono stati murati.

  • 60 Portland Place – Londra
    La via in cui si trova l’edificio prende il nome dai Duchi di Portland, proprietari dell’area per cinque generazioni. Nel 1879 la vasta area fu ereditata dalla sorella dell’ultimo Duca, vedova del Barone Howard De Walden. La proprietà dell’intera area prese quindi il nome, che conserva tutt’ora, di Howard de Walden Estate. Le abitazioni di Portland Place furono costruite su disegni di James e Robert Adam a partire dal 1778. Il primo inquilino del n.60 fu Sir Robert Ladbroke, un ricco gioielliere che fu anche per qualche tempo Sindaco di Londra. Nel 1805 l’edificio fu acquistato da Henry Bonham, figlio del fondatore dell’omonima casa d’aste, che lo lasciò verso il 1810, quando la proprietà fu acquistata da Richard Jennings. Alla sua morte, nel 1888, l’edificio fu ereditato dal figlio Richard Edward. Poco dopo la fine del secolo l’edificio fu acquistato da Lawrence Gaskell, che a sua volta lo vendette nel 1910 a Arthur Eustace Seymour Guinness, della famosa famiglia dei birrai. Guinness visse al n.60 di Portland Place, con la moglie Wilhelmine, attorniato da una servitù di ben 16 persone. Nel 1918 la proprietà fu acquistata dal finanziere di origine tedesca Leopold Rosenheim, che la tenne fino al 1923. In seguito l’edificio ospitò un insieme di ambulatori medici che comprendevano la chirurgia dentale, e tra il 1928 e il 1966, ospitò anche i borsisti di medicina specialistica. Alla fine degli anni Sessanta l’edificio fu acquistato dalla Repubblica Democratica Somala per farne la propria Ambasciata nel Regno Unito. Fu abbandonato dalla legazione alla fine degli anni ’80 e nel 1992 fu acquistato da un privato, che vi abita ancora oggi.

  • 66 Avenue Franklin D. Roosevelt – Bruxelles
    L’Avenue Franklin Roosevelt prese l’attuale nome nel secondo dopoguerra, fino al 1945 si chiamava infatti Avenue des Nations. Tracciata come ampia arteria stradale nel quartiere residenziale di Solbosch, nato nel 1907 ma di fatto urbanizzato a partire dagli anni Venti, l'Avenue des Nations divenne ben presto la via delle rappresentanze diplomatiche; e nei pressi del n.66 vi sono quelle d’Austria, dell’Arabia Saudita e del Giappone. L’edificio in stile Art Déco, di tre piani con garage seminterrato, grande mansarda e bow-window, fu costruito da Léon Deladrière nel 1929 su disegno dell’architetto Joseph Halleux. La Repubblica Democratica Somala lo acquistò nel 1979, trasferendovi l’Ambasciata che in precedenza si trovava in Rue de l’Abbaye.
    Allo scoppio dei disordini in Somalia, i diplomatici e il personale dell’Ambasciata abbandonarono l’edificio, che restò disabitato per circa dieci anni, subendo seri danni e giungendo a rischiare il collasso strutturale, per sé e per gli edifici confinanti. Questo fino al gennaio 2001, quando un gruppo di cittadini stranieri non in regola con le norme di soggiorno in Belgio occupò l’edificio, fondando l’Ambassade Universelle, con il supporto di una rete di cittadini belgi solidali. Nel giugno 2003 la polizia francese impedì un analogo tentativo di occupazione della sede diplomatica somala di Parigi, al 22 di Rue Dumont d’Urville, chiusa da dodici anni. Nel 2006, quando fu scattata questa foto, l’Ambassade Universelle ospitava fino a trenta persone per volta, aveva un proprio sito internet, una propria bandiera ed emetteva una specie di carta di identità, a chi vi risiedeva. L’Ambasciata Universale di Bruxelles è sopravvissuta fino ad oggi come luogo di accoglienza residenziale ed attualmente ospita circa quindici persone senza documenti di soggiorno in regola. Il fatto di poter eleggere residenza in Avenue F. Roosevelt permette ai cittadini stranieri di avviare le pratiche di regolarizzazione: una volta ottenuto il permesso di soggiorno, è possibile cercare una abitazione e lasciare il posto ad altri. Nel settembre 2011 il Governo Somalo ha comunicato di voler rientrare in possesso dell'edificio.